Anna Maria Bartolini è stata una delle prime donne italiane (forse proprio la prima in assoluto) chiamate a guidare una Banca di Credito Cooperativo: eravamo nel 1968 e lei prese la guida dell’allora Cassa Rurale ed Artigiana di Pergola in provincia di Pesaro e Urbino. Inizialmente la sua assunzione doveva essere provvisoria, ma poi, invece, Bartolini rimarrà alla guida dell’Istituto di credito per ben 33 anni.
La chiamavano “la Signora” forse per una forma di rispetto, o forse per rimarcare una certa lontananza del genere femminile dal mondo bancario, anzi dai ruoli apicali in un settore, quello finanziario, dove nei livelli dirigenziali c’erano solamente maschi.
La raggiungiamo al telefono in una mattina di ottobre e lei, con una calda accoglienza, ci permette di andare a ritroso nel tempo e ci racconta la passione per il suo lavoro e qualche aneddoto di una direttrice che non si è fatta spaventare dagli stereotipi di genere.
Direttrice Bartolini, come e perché è diventata direttrice di una BCC?
«Premetto che la Cra di Pergola è nata dalla trasformazione di una sopprimenda “Cassa Comunale di Credito Agricolo”. La tenace volontà di alcuni soci agricoltori, del nominato liquidatore avv. Luigi Cini nonché di un costituitosi Comitato di Imprenditori locali, fece sì che dopo tante peripezie nel giugno 1966 fu stilato l’atto della soppressione dell’ente e la nascita della Cra. Per evidenti ragioni di “economia” e scarse “risorse finanziarie” la nuova Azienda, che iniziò l’operatività nel gennaio 1967, fu per l’intero esercizio e sino all’aprile 1968 retta da tre dipendenti tutti pensionati (due ex bancari e uno ex Montecatini spa).
Motivi di salute ed altro fecero sì che nell’aprile 1968, l’Azienda si trovò con un solo cassiere giovane. Fui allora insistentemente sollecitata da diverse fonti: Cda. – Presidente in primis – imprenditori, clienti comuni della Cra. e dello studio di Consulenza del Lavoro e Aziendale dove lavoravo dal 1963, appena diplomata, il cui titolare due anni dopo era diventato mio marito. Fui molto titubante. Dopo tante insistenze e con l’impegno di una copertura provvisoria, in attesa di trovare un valido sostituto per svolgere quel ruolo e fronteggiare un’agguerritissima concorrenza di altri due Istituti di Credito, mi lasciai convincere. Accettai la “temporaneità” dell’incarico e confesso che, avendo il diploma di ragioniere e perito commerciale, di banca avevo soltanto le nozioni scolastiche. Eravamo ai primi di maggio 1968. Svolsi tutti i servizi: sportellista, retrosportellista, imbustavo i documenti per la spedizione e alimentavo addirittura l’impianto di riscaldamento a carbone (ecco il motivo del nostro titolo!), oltre ad esercitare le mansioni di direttrice. Eravamo in due dipendenti e soltanto nel dicembre 1968 fu assunto un terzo collaboratore con mansioni più manuali. Si lavorava in ambienti vecchi e angusti e l’operatività era tutta manuale, con calcolatrici a manovella.
I miei due collaboratori, essendo titolari della locale squadra di calcio, di pomeriggio mi lasciavano sola con lo sportello aperto al pubblico per svolgere i loro quotidiani allenamenti. Poi, verso le ore 18 tornavano in ufficio, così, l’orario di lavoro si prolungava sempre sino alle 19,30/20. Si lavorava anche di sabato, perché la piazza era autorizzata a tenere gli sportelli aperti in quanto giorno di mercato. Lavoravo anche nei giorni festivi di fine anno per le varie chiusure contabili e non si parlava di ferie: per tanti anni non le abbiamo godute. La retribuzione era forfettaria senza Ccnl.
Dato il costante progresso nella conquista della clientela e quindi i relativi risultati raggiunti, il promesso “sostituto” non fu mai cercato e la “temporaneità” dell’incarico si trasformò in definitivo per trentatré anni, fino a quando andai in pensione nel 2001».
Com’era il rapporto con le sue collaboratrici e con i suoi collaboratori?
I rapporti con i collaboratori e le collaboratrici sono sempre stati familiari, cordiali ma sempre rispettosi, sia con il personale dell’Azienda che con i colleghi e le colleghe di altre Cra. Sono sempre stata trattata alla pari, anche quando, in qualche incontro, ai colleghi maschi ho creato delle situazioni un po’ imbarazzanti, in quanto tra uomini usciva immancabilmente qualche parola un po’ sconcia, ma prontamente arrivava il loro «scusami».
Quali pregiudizi ha dovuto affrontare, in quanto donna in un settore prettamente maschile?
Ho già accennato al fatto che la libera professione mi aveva fatta conoscere sia dagli imprenditori che dalle e dai loro dipendenti, nonché dalla piazza in generale e, pertanto, non risultavo un viso nuovo.
Ricordo che, all’inizio, un imprenditore un po’ più maschilista di altri ebbe a dire che «le donne avrebbero dovuto fare la calza o la moglie vicino al fuoco» (che tradotto significava: stare in casa a fare le faccende domestiche). Ben presto acquistai l’apprezzamento dello stesso soggetto che a breve ebbe a dire: «A quella mancano soltanto i pantaloni» per significare che non trovava differenza fra me donna e/o un uomo, se non nell’abbigliamento (allora erano rare le donne che indossavano pantaloni).
In quegli anni lei ci racconta che c’era una concorrenza spietata tanto che molti dicevano, riferendosi alla sua banca, che «piccolo è bello, ma pericoloso». Cosa contraddistingueva il vostro modo di fare banca rispetto agli altri?
Circa l’operatività siamo sempre stati un po’ orgogliosi di riuscire a fare concorrenza e a strappare clienti ai competitors, anche i più restii alla novità. Abbiamo usato le armi della disponibilità assoluta, della correttezza nei rapporti sia operativi che interpersonali e del rispetto di tutta la clientela. Il tutto condito da pazienza, consigli, gentilezza e consulenza (non sempre strettamente connessa con l’operatività bancaria)».
Anna Maria, come ha gestito vita professionale e vita privata?
La gestione della vita professionale e privata è andata di pari passo. Sino al 1971, non avendo figli, è stata abbastanza scorrevole. Successivamente, qualche sacrificio in più si è presentato, ma con l’aiuto di una valida collaboratrice familiare durante la giornata, il tempo è passato e i figli (il secondo è nato nel 1976) sono cresciuti sereni.
Nel 1978, con la stessa determinazione utilizzata nel mio lavoro, ho superato un brutto momento di malattia. Non mi sono persa d’animo, ho lottato anche per i figli che all’epoca erano in tenera età (7 e 2 anni). Anche dal letto di un ospedale ho continuato a collaborare con chi mi stava sostituendo nel lavoro. Senza dubbio oggi devo dire che la vita privata è stata la più penalizzata con poco spazio per gli svaghi.
Ringraziamo Anna Maria Bartolini per la sua disponibilità e per il suo ultimo suggerimento per le giovani donne occupate nel settore bancario. Con umiltà la Direttrice conclude con una lezione di vita, dicendoci che non ha consigli da dare, ma che le donne di oggi devono saper leggere il passato.
Grazie Anna Maria!
Intervista di Arianna Lorenzetto – Associazione iDEE donne del Credito Cooperativo (*)
(*) iDEE collabora con Toponomastica femminile a un progetto che intende portare alla luce le tante figure femminili impegnate nel settore del credito cooperativo e nel mondo dell’imprenditoria, una collaborazione di cui questa rubrica costituisce un primo passo.