INIZIATIVE

EDUCARE ALL' AFFETTIVITÁ - L'INTERVENTO DI GINO CECCHETTIN A FNEC 2025

EDUCARE ALL' AFFETTIVITÁ - L'INTERVENTO DI GINO CECCHETTIN A FNEC 2025

EDUCARE ALL' AFFETTIVITÁ - L'INTERVENTO DI GINO CECCHETTIN A FNEC 2025

Nel corso del Festival Nazionale dell’Economia Civile, venerdì 3 ottobre, si è tenuto il panel dedicato all’educazione all’affettività,  un confronto intenso su strategie, studi ed esperienze, per rendere l’affettività uno strumento concreto di trasformazione culturale e sociale.

Moderato da Raffaella Ruocco, amministratrice della rete cooperativa antiviolenza Proodos di Napoli, l’incontro ha visto gli interventi di Gino Cecchettin, presidente della Fondazione Giulia Cecchettin, e il commento di Michela Giachetta, autrice del libro "I mostri non esistono". Tre prospettive differenti, ma unite da una stessa urgenza: ripensare l’educazione come percorso di libertà, consapevolezza e responsabilità relazionale.

Il panel si è aperto con la lettura di un passo tratto dal diario di Giulia Cecchettin, parole che raccontano la lucidità e la forza di una giovane donna capace di riconoscere i meccanismi di una relazione manipolatoria da cui stava cercando di uscire.
«Giulia sapeva di essere finita in una relazione disfunzionale e per questo aveva scelto di interromperla. Ma quel no non è bastato. Perché il  "no"  non ha valore, diciamo spesso oggi. Io dico che storicamente, purtroppo, non lo ha mai avuto nelle relazioni tra uomini e donne», ha ricordato Raffaella Ruocco, richiamando la necessità di un profondo cambiamento culturale.

Da questa riflessione nasce un appello condiviso: educare all’affettività per restituire valore al consenso, alla libertà e alla responsabilità emotiva. Come sottolineato da Ruocco, la violenza di genere non è un problema delle donne, ma una questione che riguarda l’intera società, perché mina la democrazia, la giustizia e la felicità collettiva.
Durante l’incontro, Gino Cecchettin ha portato una testimonianza intima e, al contempo, universale: quella di un uomo che ha trasformato il dolore in consapevolezza e impegno. Dopo la morte violenta della figlia Giulia, anche attraverso il dialogo con la figlia, Elena, ha iniziato a riconoscere come la cultura patriarcale plasmi la vita quotidiana persino di chi crede di esserne estraneo.

«Quando studi il fenomeno della violenza, ti accorgi che il mondo è plasmato su stereotipi di genere, sul linguaggio sessista, su modelli che limitano la libertà. E quando te ne rendi conto, non puoi più fare finta di niente. Non è una lotta ai maschi, ma al maschilismo e a quel modo di essere maschi.»

Cecchettin ha descritto il patriarcato come una limitazione della libertà, non solo per le donne ma anche per gli uomini, educati a non esprimere le proprie emozioni, a reprimere la vulnerabilità, a confondere l’amore con il possesso. 
L'essenza dell'amore, afferma Cecchettin, condividendo la toccante esperienza della perdita della moglie, è donare se stessi ed è solo così che si può comprenderne il senso profondo. Amore non come possesso, ma come dono. È da questa consapevolezza che nasce una lucida riflessione sull’educazione affettiva: educare all’amore significa insegnare a donare, non a possedere; significa comprendere le proprie emozioni e riconoscere l’altro nella sua piena libertà.

«Pensiamo che l’amore sia ricevere ciò che ci fa stare bene, ma in realtà amare è un verbo transitivo attivo: parte da noi e va verso l’altro. Educare alla sessualità e all’affettività significa prima di tutto educare al rispetto e alla libertà di chi si ama

Nel suo intervento, Gino Cecchettin ha poi ampliato la riflessione al tema della giustizia riparativa, intesa non come cancellazione della pena, ma come percorso di consapevolezza. La possibilità di riconoscere l'errore, di assumersi la responsabilità delle proprie azioni e di chiedere perdono è parte di un percorso di educazione alla cittadinanza: il compito della giustizia non è infatti solo punire e separare, ma anche educare e ricucire. 
Un concetto, questo, che si collega all'intervento di Michela Giachetta, che lancia un invito a riconoscere la responsabilità collettiva nella costruzione di relazioni sane e rispettose:  "se non vogliamo sentirci complici, dobbiamo sentirci coinvolti."

Nel suo libro  “I mostri non esistono”, Giachetta esplora le radici della violenza di genere e, attraverso le testimonianze raccolte nei centri di recupero per uomini maltrattanti, mette in luce come la violenza non nasca da impulsi anormali o individuali, ma da un contesto culturale e sociale che plasma le relazioni di potere. Viene così decostruita l'immagine del “mostro” come causa isolata del male. Secondo Giacchetta definire “mostri” gli autori di violenza rischi di allontanarci dal problema, facendoci credere che la violenza appartenga a un altrove, a qualcuno “altro da noi”. In realtà, ha sottolineato l’autrice, gli uomini che agiscono comportamenti violenti sono spesso persone comuni, immerse nello stesso contesto sociale e culturale che tutti abitiamo.

Le riflessioni emerse nel panel trovano profonda risonanza nel lavoro di iDEE, che da anni studia questo fenomeno e offre percorsi formativi centrati sull’educazione affettiva e relazionale, sul linguaggio non sessista e sulla decostruzione di stereotipi di genere e bias cognitivi,
Per iDEE, l’affettività è una competenza imprescindibile: significa imparare a comunicare, a gestire le emozioni, a costruire relazioni basate sul rispetto reciproco e sulla responsabilità condivisa. Educare all’affettività, in questa prospettiva, non è solo un tassello in più da aggiungere nei percorsi educativi,  ma il suo cuore più autentico.
Come ha ricordato Gino Cecchettin, «l’amore è dare libertà, non trattenerla».
Ed è proprio questa la direzione che iDEE continua a esplorare: una formazione che mette al centro le relazioni, le emozioni e la responsabilità, per costruire una cultura della cura e della libertà condivisa.